Per la stragrande maggioranza dei critici musicali, dei musicisti e degli addetti ai lavori è la più grande interprete in assoluto avuta in Italia. A lei si deve l’introduzione del termine interprete d’autore e per lei i giornalisti accreditati al Festival di Sanremo hanno istituito, nel 1982, il Premio della Critica – conseguito per ben tre volte su cinque partecipazioni – che dal 1996 porta definitivamente il suo nome: Premio della Critica Mia Martini.
Nel panorama canzonettistico italiano, così affollato di cantanti, si distingue per essere una delle pochissime autentiche interpreti di ogni brano a lei affidato, capace cioè di darne una toccante e passionale lettura personale, come una voce di dentro di eduardiana memoria. In questo senso la sua prematura scomparsa appare sempre più come una perdita non colmabile.
Mia Martini è un’interprete superba, profonda, una cantautrice raffinata e intimista dall’enorme, variegata e valida produzione e dalla vita per niente facile. Il pubblico non l’ha mai abbandonata – né durante i vari blackout né dopo la sua scomparsa – e la segue con entusiasmo da quasi cinquant’anni.
Oggi i giovani la scoprono grazie alla Rete e ai suoi strumenti di diffusione libera e di condivisione come Youtube e Facebook e – basta leggere i commenti ai suoi seguitissimi video o sulle pagine a lei dedicate – ne restano letteralmente conquistati. Rimangono affascinati da un’artista senza tempo, caratterizzata dai tanti cambi di look e da una splendida voce che nel tempo è mutata per due interventi alle corde vocali. Dotata di una carica espressiva e di un pathos senza eguali ha costituito punto di riferimento musicale e stile di vita. Di Mia Martini, infatti, affascinano molto anche la grandezza d’animo e il suo agire senza filtri da vera libertaria, autentica e sincera.
Mimì (così come amava farsi chiamare dagli amici) nasce il 20 settembre del 1947 a Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria. Figlia (con Leda, Loredana e Olivia) di Giuseppe Radames Berté, professore di lettere classiche e preside del Liceo di Porto Recanati e di Maria Salvina Dato, insegnante elementare. Domenica Adriana Rita Berté (futura Mia Martini) vive i suoi primi diciotto anni fra Porto Recanati e Ancona e inizia a cantare già nella prima infanzia. A soli sei anni viene scelta dalla sua scuola per cantare in diretta radiofonica nazionale una Ninna nanna al Bambino Gesù. Studia lirica, solfeggio, pianoforte e danza classica, elegge Ella Fitzgerald e Paul Anka – in particolare le loro rispettive Every time we say goodbye e You are my destiny –, suoi primi modelli artistici e si guadagna i primi applausi alle feste di piazza e ai concorsi dilettantistici per voci nuove.
Di fatto, però, non accade nulla di rilevante. Da qui l’idea di recarsi con la madre a Milano, alla ricerca di un contratto discografico. Dopo tanti no, è Carlo Alberto Rossi (titolare dell’etichetta CAR Juke Box di cui fanno parte, tra gli altri, gli urlatori Joe Sentieri e Jenny Luna) a credere nelle potenzialità della ragazzina. Il primo disco, col nome di Mimì Berté, arriva nel 1963. È un quarantacinque giri che contiene le due cover I miei baci non puoi scordare e Lontani dal resto del mondo, cui fa seguito un secondo intitolato Insieme. I giovani la scoprono con il terzo quarantacinque giri, Il magone, edito nel 1964, che ottiene un buon successo di vendita, tanto da convincere il mensile musicale dell’epoca Tuttamusica a inserirla ne La greffa, clan di talenti d’assalto.
Mimì porta i codini e le scamiciate e ha tutta l’aria della ragazzina yé-yé. Lo stesso anno incide Ed ora che abbiamo litigato, una canzone surf, moda del momento, che presenta nel seguitissimo show televisivo Teatro 10 condotto da Lelio Luttazzi. Questo è anche l’ultimo disco inciso per l’etichetta di Carlo Alberto Rossi. Il suo primo momento magico però è destinato a sfumare in fretta. Bisognerà attendere due anni, prima di ritrovarla sul mercato discografico.
Il 30 giugno del ‘66 la giovane interprete registra per la Durium due nuovi brani, Non sarà tardi e Quattro settimane, che compongono un quarantacinque giri destinato all’estate, ma l’interesse del pubblico è scarso. Per cinque anni, di lei, dal punto di vista artistico, si perdono completamente le tracce. Mimì si è ormai trasferita a Roma, in via Clivo delle Mura Vaticane, zona dove nel ‘67 nascerà il mitico Titan, diretto rivale del Piper; studia lingue al Berlitz e si dedica anima e corpo alle jam session nei locali della capitale, rivisitando il repertorio di grandi interpreti jazz come Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Julie Driscoll e Aretha Franklin con il gruppo del pianista Toto Torquati. Grandi scialli neri, bombetta, trucco accentuato, tono impegnato, Mimì passa anche attraverso una brutta storia giudiziaria con l’accusa di spaccio da cui sarà totalmente prosciolta dopo quattro mesi di carcere trascorsi in Sardegna, a Tempio Pausania, perché il fatto non sussiste.
È il talent scout di Patty Pravo, Alberigo Crocetta, a notare le sue eccezionali doti vocali e a proporle di cambiare nome da Mimì Berté a Mia Martini. “Il nome l’ho voluto io, pensando alla Farrow, un mio idolo del momento (racconterà lei). Il cognome fu scelto fra un tris di prodotti italiani famosi nel mondo che potevano attirare anche il mercato internazionale: spaghetti, pizza e Martini. Optammo per quest’ultimo (ride)…”.
Nasce così Mia Martini, personaggio anticonformista, tra il freak e l’hippie, bombetta, sveglia al collo, anello al naso. Il primo disco è un quarantacinque giri di grande impatto: due canzoni che fanno discutere e che le procurano situazioni al tempo stesso positive e negative. La prima è la dissacrante Padre davvero…, dai toni forti, l’altra è Amore… amore… un corno!, scritta da un giovanissimo autore romano, Claudio Baglioni, che con lei partecipa al Cantagiro di quell’anno con il gruppo La macchina. Se Padre davvero permette a Mia di aggiudicarsi la vittoria al primo Festival della Musica d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio, all’inizio dell’estate ‘71, d’altro canto, il brano è censurato dalla programmazione radiofonica. Ciò a causa del dissacrante testo contro il perbenismo della famiglia tradizionale, in cui si narra la storia di una ragazza in conflitto generazionale con il padre. Di fatto, è una frase riferita alla madre a suscitare il maggior scalpore: … di me era piena, canta Mia riferendosi allo stato di gravidanza.
Il suo primo album con la RCA Oltre la collina…, una produzione Baglioni/Coggio, contiene perle come Ossessioni, Lacrime di Marzo, Prigioniero (il testo fu scritto da lei, in ricordo dell’esperienza in carcere), Amore… amore… un corno!: un vero e proprio concept album rock progressive che richiama l’attenzione della critica, uno dei migliori lavori mai realizzati da un’interprete femminile. Il disco risulta, però, troppo avanzato, sotto il profilo musicale, per ottenere quel riconoscimento che lei stava ricercando.
Lasciata la RCA, Mia firma un nuovo contratto discografico legandosi alla Ricordi e a nuovi collaboratori come Bruno Lauzi, Dario Baldan Bembo e i fratelli La Bionda. Con Piccolo uomo arriva immediato l’exploit al Festivalbar del 1972 (dove sbaraglia tutti) e a settembre vince la gondola d’oro alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia con Donna sola, un brano che trasuda blues e che soltanto lei, al momento, sembra poter reggere quanto a intensità d’interpretazione. Entrambi i pezzi scalano in fretta le classifiche di vendita. Esce il suo secondo album Nel mondo, una cosa (in cui spiccano Io straniera, versione italiana di Border Song di Elton John, il gioiellino di Vinicius De Moraes Valsiñha e la struggente Amanti) che nel giro di pochi mesi conquista le prime posizioni nelle classifiche e il premio della critica discografica.
Con Minuetto, firmata da Franco Califano e Dario Baldan Bembo, si aggiudica alla grande il Festivalbar del 1973, bruciando la rivale Marcella Bella e toccando il vertice della hit parade. È il suo momento. Nuovo look, vestiti zingareschi, capelli lunghi e mossi, un intero stock di anelli. Pubblica il suo terzo album Il giorno dopo in cui, accanto a due brani che ne esaltano l’estensione e l’espressività vocale come Il guerriero e Bolero canta fra l’altro Picnic (cover di Your Song di Elton John) e Signora di Joan Manuel Serrat.
Maurizio Piccoli, Maurizio Fabrizio e Dario Baldan Bembo sono fra i suoi più preziosi collaboratori anche nell’album seguente È proprio come vivere del ‘74 da cui trae il bel singolo Inno, inserendo brani tutti pregevoli, fra cui la raffinata e intimista Domani. Ottiene un grandissimo successo anche in Francia, Spagna e nei paesi sudamericani.
Nel ‘75 riceve il Premio della critica europea di Palma de Mallorca con il brano Nevicate, vince il referendum di Sorrisi e Canzoni Vota la voce come migliore cantante donna dell’anno, incide gli album Sensi e controsensi e Un altro giorno con me, il suo canto del cigno con la Ricordi, da cui la separano ormai insanabili incompatibilità.
Nel ‘76 ritorna alla casa discografica che l’aveva lanciata cinque anni prima, la RCA, attraverso un’etichetta giovane da poco costituita, la Come il Vento. Che vuoi che sia… se t’ho aspettato tanto, album e singolo, sanciscono questo nuovo sodalizio artistico. Inizia la fortunata intesa con Charles Aznavour che la condurrà nel ‘77 ai memorabili concerti all’Olympia di Parigi e al Sistina di Roma: appare sofisticata, calata nel ruolo della Edith Piaf made in Italy.
L’anno dopo rappresenta l’Italia al Gran premio eurovisivo della canzone presentando Libera, brano che la impone sia sul mercato europeo, sia su quello canadese e giapponese. In quest’ultimo Paese, è invitata al prestigioso World popular song festival Yamaha di Tokyo come unica rappresentante italiana e si aggiudica la vittoria eseguendo Ritratto di donna, contenuto nell’album Per amarti, in cui c’è già la mano di Ivano Fossati, oltre a una pregevole cover di Somebody to love dei Queen.
Nel ‘78 arriva la svolta con l’album Danza. Dall’incontro con Ivano Fossati nasce un sodalizio destinato a protrarsi per molti anni. Il musicista regala a Mia, tra le altre, le bellissime Vola, Di tanto amore e un album di grande spessore da lui interamente scritto, musicato, prodotto e arrangiato. Il cantautore genovese, nella sua lunga futura carriera, non farà mai più una cosa del genere per nessun’altra artista. Mimì cambia stile, nella copertina del disco prende a calci una coppa di champagne con stivali di gomma gialli, rinuncia alle paillettes dell’Olympia per un look stringato fatto di occhialoni, capelli lunghi e mossi e un riferimento al rock bambino del suo partner artistico e sentimentale. Spicca a livello d’interpretazione la drammatica La costruzione di un amore scritta dal suo uomo per celebrare la nascita del loro amore.
Tre anni di impasse caratterizzati dall’ennesima rottura di un contratto discografico, da ben due interventi alle corde vocali, tanto studio e faticosa riabilitazione supportata dalla cara Ginetta Colomba Tarenzi; poi Mia torna sul palco con i capelli corti, giacche dal taglio maschile e un album scritto da cantautrice dal semplice e indicativo titolo Mimì, inciso con la piccola etichetta DDD diretta dall’illuminato Roberto Galanti. Meritano una nota di plauso E ancora canto, Ti regalo un sorriso, Sono tornata e la splendida Del mio amore.
Nell’82 si misura per la prima volta con la platea sanremese, lei che dieci anni prima giurava di sentirsi giusta solo in manifestazioni come Gondola d’oro e Festivalbar. Ci prova con E non finisce mica il cielo ed è la giuria dei giornalisti a celebrarla, istituendo per lei il Premio della Critica oggi Premio della Critica Mia Martini, toccata dalla sua vibrante esecuzione. Nello stesso anno esce l’album Quante volte… ho contato le stelle, un bel disco costruito con la sapiente regia di Shel Shapiro in cui spiccano Quante volte, l’autobiografica Stelle e l’intensa Bambolina, bambolina (dedicata alla madre), firmate dalla stessa Mia Martini. Mina va a trovarla in sala di registrazione, trova l’album perfetto, la riempie di complimenti, si innamora di Io appartango a te.
L’anno dopo si diverte a registrare il suo eccellente primo live Miei compagni di viaggio, nel quale rivisita, tra gli altri, il repertorio di grandissimi autori come Fabrizio De André, Leonard Cohen, Luigi Tenco, Francesco De Gregori, John Lennon, Randy Newman (uno degli autori da lei più amati) e Jimi Hendrix. Per la prima volta nella storia della registrazione di un live, la voce e i musicisti risultarono perfetti, al punto da indurre il produttore Roberto Galanti a fare inserire tra le note di copertina un’informazione speciale: nessuna sovrapposizione o correzione è stata effettuata in studio sui nastri originali.
L’ultima incisione per la DDD è la bellissima Spaccami il cuore di Paolo Conte, edita su quarantacinque giri, presentata nell’85 al Festival di Sanremo, per cui le giurie compiono un delitto di lesa maestà bocciandola in fase di preselezione. L’assurda esclusione, non certo per motivi di natura artistica, per niente stronca lo splendido brano che viene inciso anche da mama africa Miriam Makeba insieme a Dizzy Gillespie e, oltre a far arrossire la giuria selezionatrice, compie il giro del mondo col nome di Don’t break my heart.
Un venticello vigliacco che la vuole iettatrice e un ostracismo continuo per questa storia da medioevo, le causano un vero e proprio tracollo: “La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che per esempio, rifiutava di prendere parte a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti”.
Si era arrivati all’assurdo per cui Mimì decise di tagliare drasticamente i ponti con l’ambiente discografico, ritirandosi con grande dignità dalle scene, ma continuando a cantare per il suo pubblico nei posti più disparati, soprattutto in Italia centrale e in provincia di Napoli, nelle situazioni più grottesche. Strumenti da rottamare, amplificatori da vergogna e musicisti con poca esperienza, ma su tutto e tutti emergeva la sua voce pazzesca e il suo aggrapparsi alla vita tramite le sue canzoni.
Vive alterne vicende, tra cui uno sfratto. È ospite a Milano, per un anno, di Aida Cooper e successivamente, per qualche mese, di sua sorella Leda, a Roma. Dopo aver soggiornato per circa un anno in un residence a Bacoli – lo splendido scenario che le si apriva innanzi le ricordava molto la sua Bagnara e lo Stretto di Messina – trova una sistemazione nella verde campagna umbra, a Calvi, a pochi minuti dalla capitale, dove può vivere tranquillamente coccolata dai suoi vicini contadini, studiare, suonare e preparare le serate in attesa di registrare un disco per il suo pubblico che continua a seguirla e acclamarla, nonostante la forzata assenza.
Non è ancora sicura di organizzare un eventuale rientro. La molla le scatta dopo un terribile incidente d’auto: Mimì scivola su una lastra di ghiaccio e si procura una rovinosa caduta in una scarpata. Ne esce illesa e giunta sul ciglio della strada prima piange e poi scoppia a ridere, avvertendo la sensazione fisica di aver lasciato giù tutte le cattiverie subite da un ambiente infame. Grazie all’impegno di Lucio Salvini, passato alla Fonit Cetra, suo angelo custode nel periodo Ricordi, Mimì si prepara al grande ritorno sulle scene in vista del Festival di Sanremo. Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio hanno da ben diciassette anni nel cassetto il pezzo giusto per lei (scritto nella stessa settimana di Piccolo uomo). A farle animo sostenendola con convinzione ci pensano Alba Calia e Sandra Carraro, sue sincere amiche e grandi ammiratrici da sempre.
Con Almeno tu nell’universo Mia Martini, grazie alla sua fortissima personalità vocale, ai suoi grandi mezzi espressivi, alla presenza scenica e a una sensibilità acuta, provoca uno shock generale, si aggiudica un nuovo Premio della Critica e sforna anche il bellissimo album Martini mia in cui attinge a piene mani al repertorio dell’astro nascente partenopeo Enzo Gragnaniello (Donna, il brano trainante e tra le altre esecuzioni di spicco, Notturno e Formalità). È premiata come interprete dell’anno al Premio Tenco. È alla sua terza vita, con gli abiti firmati dal suo amico Giorgio Armani e il repertorio più vicino al grande pubblico delle platee festivaliere. Nuovi album, concerti, rassegne di musica jazz e numerose apparizioni televisive, le riconsegnano il ruolo di protagonista assoluta nel panorama della musica e non solo italiana. Risultano memorabili i suoi camei canori nell’inedito ruolo di padrona di casa della musica, sia da solista sia in formidabili duetti (Toots Thielemans, Dee Dee Bridgewater, Toquinho, Gianni Morandi, Milva), in ben due edizioni di Europa Europa, al fianco di Fabrizio Frizzi ed Elisabetta Gardini che le fanno sentire tutto il loro calore umano e professionale. Il Teatro delle Vittorie sembra trasformarsi in uno stadio e il composto pubblico televisivo non fa altro che tributarle delle vere e proprie ovazioni.
Nel 1990 partecipa, ancora una volta, al Festival di Sanremo con la stupenda La nevicata del ‘56 scritta da Carla Vistarini e Franco Califano e fa il tris vincendo nuovamente il Premio della Critica facendo venire i brividi persino al grande Ray Charles presente in platea, alle prove. Segue l’album La mia razza con vistose celebrazioni etniche (Danza pagana di Mimmo Cavallo su tutte) e le prestigiose firme di Enrico Ruggeri, Dodi Battaglia, Amedeo Minghi, Bruno Lauzi, Fabrizio De André e gli arrangiamenti di Peppe Vessicchio.
Nel 1991 si dedica a un progetto molto ambizioso: tiene dodici concerti in cui canta canzoni sue e di altri cantautori in versione jazz, un genere che ama molto, unitamente ad altri classici arrangiati da Maurizio Giammarco. Per l’occasione registra lo splendido album Mia Martini in concerto da un’idea di Maurizio Giammarco, boicottato dalla Fonit Cetra che ne stampa solo ventimila copie.
Il 1992 è caratterizzato dall’annunciata vittoria sanremese, mancata per un soffio (in realtà secondo addetti bene informati la somma dei voti avrebbe dato lei come vincitrice) con la struggente e intensa Gli uomini non cambiano di Giancarlo Bigazzi, Giuseppe Dati e Marco Falagiani, frutto della collaborazione con il geniaccio della canzone italiana. Mimì per circa dieci mesi soggiorna alla tenuta Bigazzi della Cinciallegra, a Firenze, sulle colline di Settignano, dove coccolata dalla sua amica Gianna Albini Bigazzi – e a stretto contatto con il Maestro Giancarlo – dà il meglio di sé.
Oltre al brano sanremese nasce l’album Lacrime che, tra le altre, contiene perle come Versilia, Il mio oriente e il Fiume dei profumi. È un anno ricco di impegni e importantissimi riconoscimenti come il bel quarto posto all’Eurofestival con Rapsodia, anch’essa scritta da Giancarlo Bigazzi, il successo con Roberto Murolo ed Enzo Gragnaniello ottenuto con la memorabile Cu’ mme che, dopo molti anni, riporta il dialetto napoletano in classifica, oltre a fare il giro del mondo.
E ancora: la bellissima puntata monografica di Serata d’onore, condotta da Marisa Laurito, dedicata interamente a lei e ad Alberto Tomba. La partecipazione al Cantagiro, il premio come migliore interprete dell’anno al Canzoniere dell’estate, tenutosi in diretta TV nell’incantevole scenario della Valle dei Templi di Agrigento, il tour teatrale Per aspera ad astra in cui ripercorre le tappe più pregnanti e significative della sua lunghissima carriera.
Il ‘93 non è un anno molto fortunato per Mimì: l’accoppiata-happening sanremese con la sorella Loredana Berté con Stiamo come stiamo non ottiene gli esiti sperati e Vieneme non sembra avere l’unghiata vincente per ripetere l’exploit con Murolo e Gragnaniello.
Con il ‘94 arriva il Festival Italiano con Viva l’amore del fido Mimmo Cavallo e un album di cover di grandi cantautori italiani, Fabrizio De André e Ivano Fossati su tutti (poi Vasco Rossi, Zucchero, i fratelli Bennato, Lucio Dalla, Francesco De Gregori) dal titolo La musica che mi gira intorno. Hotel Supramonte, Mimì sarà e le grintosissime Dillo alla luna e Tutto sbagliato Baby, le vere hit. È il suo ultimo capolavoro. Il suo testamento artistico e umano.
Nel mese di marzo del 1995 a Papaveri e papere duetta con l’astro nascente Giorgia ed entusiasma il pubblico che la acclama con una standing ovation. Nella puntata conclusiva tutti gli artisti presenti rimangono estasiati per la sua interpretazione mozzafiato de La voce del silenzio, cavallo di battaglia di Dionne Warwick e Mina. Due mesi dopo, il 12 maggio, un arresto cardiaco interrompe la sua esistenza, ma non il suo canto d’amore.
In tutti questi anni le hanno intitolato – in numerosi luoghi di tutta Italia – vie, piazze, un giardino, un anfiteatro, una sala, un belvedere e un Parco (a Roma, per una felice coincidenza proprio in via Domenico Modugno). Per renderle omaggio sono stati istituiti premi, eventi e un festival. Dal 1998, a Bagnara Calabra, un monumento scruta il suo mare della Marinella, posizionato in uno splendido e curatissimo giardino. Il recente film, il florilegio di libri, raccolte, ristampe e dischi postumi con concerti e brani inediti, supportati da un pubblico sempre molto affettuoso, attento e partecipe, l’ha decretata l’artista più collezionata e presente della storia musicale italiana.